lunedì 14 dicembre 2009

un antimalarico a basso costo

 un antimalarico a basso costo


 ottobre 2018

 

l La notizia ha fatto il giro del mondo: è stato trovato un antimalarico a basso costo. Costerebbe solo un dollaro a confezione l’antimalarico Asaq (costituito da artesunato amodiaquine – vedere formule in figura), prodotto da Sanofi-Aventis, che ha rinunciato al ricavato del brevetto per favorirne il consumo nei Paesi flagellati dalla malaria (e che sono molto poveri, per cui ogni anno nel mondo muoiono più di un milione di persone). Bastano poche decine di sporozoiti trasmessi da una zanzara per uccidere, se non curato, un uomo! Oggi ci sarebbe già una combinazione molto idonea (guarigione clinica e parassitologica del 99% dei pazienti infettati dal Plasmodium falciparum, il più resistente dei parassiti malarici), ma improponibile per il suo costo: trattasi del Malarone di GSK [GSK= GlaxoSmithKline] (una combinazione di Atovaquone e Proguanile). Io sono stato sempre molto interessato alla malaria ed alla possibilità di cura (meglio sarebbe alla sua eradicazione), forse perché da ragazzo fui colpito dalla febbere terzana, che curai col “chinino” (vedere in figura la formula della chinina), nel mio paese natale in provincia di Benevento. La terzana viene così chiamata perché l’accesso febbrile si verifica dopo ogni 48 ore di malattia, e quindi al terzo giorno, cioè quando, principalmente, avviene l’infezione dei globuli rossi da parte dei merozoiti delle cellule epatiche – vedere ciclo in figura – Oltre che dalle cellule epatiche l’infezione può avvenire anche direttamente da parte dei globuli rossi infettati dai merozoiti che si rompono e nuovi globuli vengono aggrediti. Nella quartana l’accesso febbrile si verifica ogni 72 ore. La malattia è ora praticamente scomparsa e ciò fu provocato principalmente dal DDT o 1,1,1-tricloro-2,2-bis(p-clorofenil)etano [formula (ClC6H4)2CHCCl3], che ne distrusse i serbatoi. Oggi questo potente insetticida è bandito per il noto bioaccumulo nel tessuto adiposo degli animali, salvo che nei Paesi colpiti dalla malaria, con un uso controllato. Tuttavia in questi Paesi la zanzara portatrice dell’infezione continua ad infierire. Il problema è soprattutto economico. Le zanzariere, da usare soprattutto di notte, sono efficaci dopo irrorazione dell’ambiente con insetticidi, ma per molte popolazioni non sono di facile accesso, in particolare quelle impregnate di piretroidi sintetici a lento rilascio (Long lasting impregnated nets). Inoltre in questi Paesi esistono ancora troppe zone paludose. In Italia la malaria fu sconfitta, oltre che con il DDT, anche con la bonifica delle paludi. Sin dall’antichità si pensava che la causa fossero i miasmi delle paludi, donde il nome “malaria”. Già gli Etruschi avevano capito che il male proveniva dalle acque stagnanti (le loro città erano situate sempre sui colli delle zone litoranee che essi abitavano). Una curiosità: mentre la zanzara anòfele (dal greco “a” privativo ed “ophelèin” = “giovare”), che è in grado di trasmettere l’infezione, si dispone sulla superficie su cui si posa in posizione inclinata in avanti, la zanzara comune si posa in posizione orizzontale, parallela. Viceversa, le larve dell’anofele sono parallele alla superficie dell’acqua stagnante in cui furono depositate le uova (respirano con un organo posto sul dorso dell’addome), quelle della zanzara comune si dispongono obliquamente a testa in giù (respirano con un lungo sifone posto all’estremità dell’addome). Oggi la malattia si combatte generalmente con la clorochinama in certe regioni (soprattutto Amazzonia, Africa tropicale ed equatoriale, Sudest asiatico, Nuova Guinea ed isole Salomone), recentemente si sono selezionati ceppi resistenti alla clorochina. È in questi ultimi casi che risulta utile ed efficace la combinazione Artesunat-Amodiaquin. Occorre osservare che i monopreparati di Amodiaquin, come Camoquin®, dimostrano azioni collaterali, cosa che non si verifica con la combinazione Asaq, perché l’Amodiaquin vi è contenuto in misura limitata.


Occorre osservare che l’Artesunato è un derivato dell’Artemisinina (un sesquiterpene-lattone che si estrae dalla pianta Artemisia annua, che adesso viene anche sintetizzato). (NOTA 2) L’Artesunato è stato già usato con altri farmaci diversi dall’Amodiaquin. L’associazione con altri farmaci è necessaria perché l’emivita dei derivati dell’artemisinina (tra cui anche Artemeter Arteeter) è molto breve. Tutti i derivati dell’Artemisinina sono attivi sui gametociti (le cellule germinali maschili o femminili immature che nella gametogenesi danno luogo ai gameti per meiosi) e pertanto limitano fortemente la trasmissione malarica nelle zone a rischio. 
Circa il rischio di essere infettati dalla malaria, si consideri la formula matematica in figura. Essa porta alla conclusione che in una zona africana infestata da zanzare anofeli l’infezione, anche per un tempo di permanenza relativamente breve, è quasi certa se non si interviene sull’esponente ma, che è il numero di punture per uomo per notte. La prevenzione si fa soprattutto con le reti di poliestere o polietilene impregnate di permetrina, deltametrina o delta-fenotrina. (NOTA 1) Una speranza è riposta nei vaccini. Il vaccino sarebbe la soluzione ideale ed ad esso si lavora in tutto il mondo dalla Svezia al Kenia, dall’Australia agli Stati Uniti. Ma purtroppo i parassiti si dimostrano adattabili nel senso che cambiano le loro caratteristiche via via che si creano gli anticorpi negli organismi umani, per cui, malgrado le prospettive promettenti di qualche vaccino, la maggioranza degli esperti ritiene che saranno necessari ancora 10 anni per arrivare ad una soluzione veramente efficace. Il vaccino attualmente più avanzato è quello chiamato RTS,S della Glaxo-SmithKline studiato sotto l’egida della PATH Malaria Vaccine Initiative. Esso agirebbe prima che il parassita entri nei globuli rossi. In attesa di un vaccino veramente valido e di nuovi, economici medicinali, come quello indicato in apertura, la tendenza attuale è di ricorrere alle prevenzioni (uso di zanzariere, irrorazione di insetticidi), ed alla terapia basata sui farmaci a base di artemisinina. ( (NOTA 3(NOTA 4)
SEGNALA UN ERRORE OD UN’INESATTEZZA
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NOTA 1 – Le misure più importanti per un viaggiatore che si reca in zone a rischio sono:
1)  Indossare abiti a maniche lunghe e pantaloni lunghi di notte
2) iSpalmare sulla pelle sostanze chimiche repellenti
3)  Di notte far funzionare, se presenti, i condizionatori d’aria
4) Sccegliere alloggi con zanzariere alle finestre e zanzariere sopra il letto rimboccate sotto il materasso, possibilmente
impregnate di permetrina o simili, assicurandosi che non vi siano zanzare all’interno
5) Durante la notte tenere in funzione un diffusore di insetticida
6)Spruzzare la stanza con insetticidi un certo tempo prima di dimorarvi
7)  Se la zona è molto a rischio iniziare una settimana prima della partenza la chemioprofilassi e terminarla 1-4 settimane dopo il ritorno,   consistente nell’assunzione di clorochina,  doxiciclina, Atovaquone associato a Proguanil (farsi consigliare da uno specialista
della ASL di appartenenza).

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NOTA 2 – Nel 2015 la farmacologa cinese Tu Youyou ha vinto il premio  Nobel  in Medicina per aver sviluppato il derivato dell’Artemisia già noto nella medicina cinese, che ha salvato milioni di vite.  Tu Youyou  Nobel for a traditional Chinese medicine malaria cure – Tech Insider.htm

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NOTA 3 – marzo 2017 – Sulla base della gene-editing CRISPR, la  nuova ed avanzata tecnologia di modifica del genoma, è possibile oggi realizzare l’eredità di un tratto di esso in un’intera popolazione. Tuttavia gli scienziati sono incerti se un lavoro del genere possa orovocare altri guai, perché, ad esempio,  può anche accadere che l’eliminazione di un parassita ne fa proliferare un altro.   New gene drive technology could wipe out malaria, but is it safe  _ Science _ AAAS.htm

NOTA 4  – aprile 2017 –  Dopo i progressi avutisi nello studio del vaccino RTS,S (Gavi, the Vaccine Alliance), tre Stati africani (Ghana, Kenya e Malawi) hanno deciso di usarlopartendo dal 2018. È il primo vaccino al mondo che si sperimenta su larga scala contro la malaria. Si fa un’iniezione ogni mese per 3 mesi successivi ed una quarta dopo 18 mesi. Malaria_ Kenya, Ghana and Malawi get first vaccine – BBC News.htm                                      


 

gioa.boffa
13 Dicembre 2010 a 15:25 |

Qualche lettore mi ha detto che nei miei blog ci sono troppe formule chimiche. Questo è vero, però questi blog sono diretti principalmente ai periti chimici ed agli studenti universitari di facoltà scientifiche. Tuttavia anche altri lettori potrebbero leggerne il testo saltando a piè pari la parte formule. Che le formule, soprattutto quelle matematiche, non siano di gradimento al gran pubblico lo diceva pure Hawkins che nella prefazione del suo libro “Dal big bang ai buchi neri” ricordava la raccomandazione del suo editore: “Ogni formula riduce a metà la vendita del libro!”

 

gioa.boffa 
16 Aprile 2011 a 14:25 |

RSegnalo le pagine sulla malaria dell’Agro Pontino da CANALE MUSSOLINI di Antonio Pennacchi (Mondadori, 2010). Ecco un paio di pagine:
C’era ancora la palude melmosa e tu correvi il rischio che gli operai che stavano appunto a scavare i nuovi canali ­ti morissero di malaria per le zanzare ancora vive e vegete nel padule superstite. Nemmeno si sa con precisione quanti siano stati i morti per malaria durante i lavori e tanto meno quanti – presa la malaria qui – se ne siano poi tornati a mo­rire a casa loro in Toscana da dove erano partiti, o anche dalla Calabria, Ciociaria, Sicilia, Bergamasca e tutta Italia.
Più di centocinquantamila furono gli operai impiegati da Opera e Consorzi, e non meno del dieci per cento – quin­dici o ventimila – debbono essere morti per malaria. Si da­vano il cambio, facevano un periodo di lavoro e poi subi­to scappavano con la poca paga a casa loro. E poi Dio vede e provvede. Quelli che invece – «Zacl» – li pigliava all’im­provviso la terzana e restavano la mattina in baracca stesi sopra il letto a saltare con la febbre a quaranta, quelli li ca­ricavano su una lettiga e via di corsa a morire a Velletri, in ospedale, perché non risultassero morti di malaria in pa­lude. “Meningite” o “infarto”, scrivevano poi sui certifica­ti di morte, e “Velletri”, non “in palude”, perché il fascio «la malaria l’aveva debellata». Ma che debelli, se poi inve­ce la gente ci muore?
Quelli morivano a Velletri mentre a noi – sugli acquitri­ni – il fascio faceva spandere manti di carburo misto a sabbia e polvere di strada. li manto polveroso restava per un po’ a galla e l’anofele – quando cercava di deporre le uova sull’ acquitrino – non riusciva a penetrarlo e rima­neva fregata, le uova restavano a seccarsi nella polvere e addio figli. Ma non era con la polvere di strada che potevi debellare la malaria. Era poca roba. Funzionava un gior­no o due. In America ci buttavano il petrolio. E quello sì che funzionava. Ma loro il petrolio ce lo avevano. Noi no, noi neanche per accenderci i lumi, si figuri per buttarlo sugli stagni. E la lotta contro le zanzare e la malaria l’ab­biamo fatta con la polvere di strada, i pipistrelli, un po’ di «flit» – una specie di insetticida che spruzzavamo con la pompa a mano e un barattoletto attaccato in fondo; ma era più un ricostituente, una Ferrochina Bisleri, per le zan­zare che ne andavano ghiotte e ci si ingrassavano come maiali – e soprattutto le carte moschicide che tutte nere pendevano dai soffitti. Oltre naturalmente alle palette di fil di ferro e alle ciabatte per schiacciare al muro le zanza­re, quando le trovavi.
Questa è stata in Agro Pontino la lotta antimalarica fino a tutti gli anni Quaranta e i primi Cinquanta – quando con­tinuavamo ancora ogni tanto a prendere la malaria finché non è arrivata la Seconda guerra mondiale con gli ameri­cani. Allora sì che è davvero finita la malaria, perché se al resto d’Italia hanno portato come si suole dire libertà e de­mocrazia, a noi – che di libertà non ne avevamo mai vista e masticata tanta neanche prima del fascismo, anzi pure peg­gio – a noi gli americani hanno portato soprattutto il Ddt. Loro lo avevano appena inventato e non lo avevano anco­ra sperimentato su larga scala. Così quando sono arriva­ti qui hanno detto: «Provémolo qua!», Hanno riempito un paio di Dakota – certi apparecchioni loro – con tutti questi bidoni di Ddt e avanti e indietro per l’Agro Pontino finché non lo hanno allagato tutto quanto di Ddt. L’esperimento è riuscito – «arca, se l’è riusìto!» deve avere detto a Tru­man il generale suo – e non s’è più vista una zanzara ano­fele in tutto il Lazio e neanche s’è più visto un ammalato di malaria, nemmeno a pagarlo oro. A Velletri hanno dovu­to chiudere il reparto. Così gli americani – verificato che a noi cristiani non avesse fatto niente, perché il Ddt sarà an­che nonbiodegradabile ma sull’uomo non ha alcun effet­to negativo; forse, chissà, ce l’ha positivo – gli americani ci si sono tranquillamente andati a disinfestare tutte le palu­di loro: «Testate in Agro Pontino» hanno detto.
Adesso il Ddt è vietato in tutto il mondo. Perché non è biodegradabile. Resta nel ciclo alimentare e non si dissol­ve più. Lo hanno trovato perfino nel tessuto adiposo del­le foche al Polo Nord. Allora hanno detto: «Basta col Ddt, non si può più fare». Ma a noi ci ha salvati dalla malaria e se non era per il Ddt, noi non ci vivevamo in cinquecentomila su questo territorio. Sarebbe ancora un deserto palu­doso-malarico e noi saremmo dovuti tornare – prima o poi – nei nostri paesi d’origine, da cui ci avevano scacciato a calci. Ora a me dispiace per la foca del Polo Nord – perché ci vuole il giusto rispetto per tutti, pure per le foche – però, se lei permette, è meglio che muoia una foca al Polo Nord o è meglio che moriamo io e i miei figli qui? 

 

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5 Luglio 2012 a 22:20 
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Una Risposta to “molecole, che passione! un antimalarico a basso costo”

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lunedì 21 settembre 2009

uno scomodo compagno di viaggio


Chi avrebbe potuto immaginarlo? Più brevi sono stati i percorsi migratori degli individui che intorno a 60.000 anni fa partirono dall’Africa orientale, la culla dell’umanità, più simile è il loro DNA, ma ciò vale anche per lo Helicobacter pylori (il batterio gram-negativo flagellato spiraliforme che causa l’ulcera gastrica ed il cancro allo stomaco), che l’uomo aveva già nel suo stomaco quando partì. In un articolo della rivista Nature, Mark Achtman ed altri hanno trovato legami evolutivi tra noi ed il batterio cosicché col suo ausilio è possibile individuare vari sottogruppi in cui si differenziò l’Homo sapiens nella sua migrazione.
[segue su http://boffa.blog.tiscali.it/ uno scomodo compagno di viaggio di gioacchino boffa chimico postato da boffa [21.09.2009] comprendente anche un'immagine]

sabato 23 maggio 2009

l'epigenetica

La parola epigenetica ricorre sempre più spesso nei lavori di genetica. Afferriamone il significato. Volendo fare una similitudine con un oggetto che ci è familiare possiamo esaminare com'è fatto un computer. C'è un hard disk e dei programmi. Ebbene, lo hard disk, che è munito degli strumenti fondamentali, somiglia al DNA ed i programmi somigliano all'epigenoma. L'hardware non basta per far funzionare il computer: anche se esso è dotato di un'unità centrale CPU e di una memoria di lavoro, c'è bisogno del software. Sull'hard disk vi sono delle zone protette da una password, altre non protette e quindi aperte. La stessa cosa avviene per il DNA. La genetica è il piano dell'architetto inserito in partenza nell'hardware, ma in corso d'opera l'epigenetica ha la possibilità di modificare la costruzione. Per epigenoma si intendono tutte le caratteristiche epigenetiche possedute da un organismo. Un'altra similitudine tra genetica ed epigenetica fatta da James Watson è quella dello spartito musicale, dei suonatori e degli strumenti: lo spartito è lo scritto con le note musicali corrispondente al progetto genetico, le cellule sono i suonatori componenti dell'orchestra che esegue il pezzo e gli epigenotipi (“epogenotypes” in Ingl.), gli strumenti usati per realizzarlo. I genetisti hanno coniato quest'ultimo termine per indicare la predisposizione di ogni singola cellula a differenziarsi in una certa particolare direzione sovrapponendosi al programma genetico fondamentale della cellula stessa (genotipo). L'epogenotipo rappresenta l'insieme dei marcatori epigenetici caratteristici che differiscono da cellula a cellula nello stato embrionale e che determinano il loro destino finale, se diventerano ad esempio cervello od osso. Gli strumenti epigenetici concorrono non solo allo sviluppo della forma adulta dell'organismo ma anche al passaggio dei caratteri da una generazione all'altra (sono in qualche modo ereditabili, ma in maniera probabilistica), senza che per questo ci siano variazioni nella sequenza del DNA. Contrariamente alle informazioni genetiche che sono statiche, quelle epigenetiche, capaci di modificare l'espressione dei geni, sono costantemente fluenti.

(segue su http://boffa.blog.tiscali.it/ di gioacchino boffa chimico l'epigenetica postato da boffa [16/05/2009] comprendente anche un'immagine)

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