Sessantaquattromila anni sembrano tanti se li valutiamo col nostro metro di viventi a cui è impossibile superarne centoventi. Ma in realtà sono un soffio se valutati col metro del paleontologo per il quale è antico il reperto di milioni di anni fa o del geologo per il quale cominciano ad essere antichi gli strati di terreno di centinaia di milioni di anni fa. Eppure, in 64.000 anni l’uomo della specie attuale è passato dalla prima selce accuratamente scheggiata, probabilmente una freccia, all’esplorazione dei pianeti. Piccoli frammenti di pietre appuntite assieme a residui di ossa e sangue sono stati trovati infatti in Sudafrica da un gruppo di ricercatori facenti capo a Marlize Lombard dell’Università di Johannesburg nella caverna Sibudu (pubblicazione sulla rivista Antiquity, notizia fornita nel 2010 dalla BBC).
I nostri antenati più diretti si mossero dall’Africa passando per il Medio Oriente in un’epoca non ben definita risalente attorno a 50.000 anni fa . Lo dimostrano studi genetici, fossili ed archeologici. Ma per millenni e millenni lungo le coste orientali del continente africano visse un’altra popolazione che avrebbe potuto essere a sua volta capostipite della popolazione che lasciò l’Africa per raggiungere dopo lentissime peregrinazioni il nostro continente. Tale più antica popolazione sudafricana visse alimentandosi di molluschi marini e di tuberi di piante in un periodo glaciale che si protrasse da 165.000 a 123.000 anni fa. Secondo Curtis W. Marean, professore alla School of Human Evolution and Social Change della Arizona State University, che ha studiato i fossili della caverna PP13 di Pinnacle Point sull’Oceano Indiano, questa popolazione ancestrale aveva capacità cognitive molto avanzate e riuscì a sopravvivere alle ostilità climatiche vivendo in caverne a picco sul mare. Questo popolo preistorico già 110.000 anni fa preparava attrezzi rudimentali di pietra e decorava conchiglie con l’ocra rossa. Un’altra scoperta di pittori preistorici è dovuta a Christopher Henshilwood dell‘Università di Bergen in Norvegia ed a suoi colleghi [SCIENCE, Volume 334, Issue 6053, 14.10.2011, 219] che hanno ritrovato e studiato arnesi di 100.000 anni fa per il trattamento dell’ocra. La scoperta è avvenuta a Blombos in Sudafrica, circa 300 km ad est di Città del Capo. La datazione è stata effettuata con la tecnica detta della luminescenza stimolata otticamente che rileva il tempo durante il quale granellini di sabbia sono rimasti nascosti alla luce solare. Distanti 16 cm dal deposito sabbioso, nello stesso strato, due conchiglie furono trovate ripiene di una miscela di ocra, ossa macinate, carbone e pezzi di roccia quarzitica. Quest’ultima apparentemente era stata usata per macinare la miscela. A che servissero le conchiglie così trattate si può solo immaginare. Forse per scopi decorativi o per proteggere la pelle dalle zanzare. Esagerando un po’, si potrebbe dire che questi nostri antichissimi antenati avevano qualche conoscenza…di chimica!. È noto infatti che l’ocra è un repellente degli insetti.
Dicevo più su che gli antenati morfologicamente moderni a noi più simili si mossero dall’Africa circa 50.000 anni fa e raggiunsero l’Europa, ma essi qui giunti sostituirono a poco a poco tutte le altre popolazioni esistenti con un incrocio o nullo o minimo con esse. Ma la datazione della migrazione è così incerta che alcuni scienziati preferiscono parlare di 50.000-95.00 anni fa. Oggi anche questo intervallo sembra destinato tuttavia a spostarsi ancora più indietro nel tempo, addirittura a 125.000 anni fa, per il fatto che il gruppo guidato da Hans-Peter Uerpmann della Eberhard Karls Universität di Tubinga ha scoperto negli emirati arabi artefatti così datati attribuibili all’Homo anatomicamente moderno che sarebbe pervenuto in Arabia attraverso lo stretto di Bab-el-Mandeb (Bab-al-Mandab) allora costellato di laghi e fiumi, verdeggiante, e percorribile con zattere rudimentali. (La pubblicazione è su Science; vedere anche l’articolo di Charles Q. Choi, Ancient Arabian Artifacts May Rewrite ‘Out of Africa’ Story, del 27.01.2011). L’interpretazione di questa scoperta è attualmente in discussione tra gli scienziati del ramo. I resti dell’uomo moderno fuori dell’Africa considerati finora più antichi erano quelli di Qafzeh risalenti a 100.000 anni fa e quelli del Monte Carmelo risalenti ad 80.000 anni fa. Anche altri nuovi ritrovamenti (area di Wadi Banut in Oman) dimostrano senza ombra di dubbio che le prime migrazioni della nostra specie fuori dall’Africa risalgono a molto prima di quanto si pensasse finora (cioè a più di 100.000 anni fa). Secondo le più recenti vedute quella dei 50.000 anni fa fuori dall’Africa è da considerarsi la terza ondata di migrazione del sapiens sapiens: ce ne sarebbero state infatti due precedenti fino a risalire a 120.000 anni. Le date probabili delle varie tappe della colonizzazione del pianeta sarebbero: arrivo in Siria/Turchia 100.000 anni fa , in Afghanistan 85.000 anni, nella Cina settentrionale 67.000, in Australia 50.000, in Spagna 41.000, nel Nordamerica 13.000. La “fioritura” dei veri moderni in Europa risale ad attorno 35.000 anni fa quando scomparvero i Neanderthal.
Secondo un’indagine, marginale tuttavia per noi europei, risalirebbe a 62.000 – 75.000 anni fa (in base all’orologio molecolare, molecular clock), la migrazione dall’Africa di un’altra popolazione di H. sapiens, quella che poi ha dato luogo agli Aborigeni australiani. Lo ha rivelato l’analisi del DNA di una ciocca di capelli vecchia di novant’anni di un aborigeno australiano data ad un etnologo e trovata in un museo da Morten Rasmussen dell’Università di Copenaghen. Egli, col suo gruppo di ricerca, ha rivelato su di un numero di Science del 2011 che nel DNA di quell’aborigeno non vi era traccia di un tratto di DNA tipico degli Europei. Anche il confronto con i Cinesi ha dimostrato l’indipendenza dell’etnia aborigena. Quel tratto era invece in comune tra Europei e Cinesi. (Poco fa abbiamo accennato all’orologio molecolare. Vediamo in cosa consiste. Esso è basato sul cambiamento in determinati segmenti del DNA di coppie di basi nucleotidiche, oppure delle relative proteine prodotte, in funzione del tempo con velocità costante ed affidabile. È con questo metodo, applicato a sequenze di amminoacidi di globine sanguigne di vari primati, che Goodman nel 1963 dimostrò che uomo, scimpanzé e gorilla sono più imparentati tra di loro che ognuno di essi con l’orangutan).
Tutte le migrazioni accennate in precedenza si riferiscono all’Homo sapiens; ma non furono le prime se ci riferiamo ad altri generi Homo. Una scoperta recente ha rivelato infatti tracce di ben più antiche migrazioni appartenenti all’Homo erectus (vederne un teschio in PRESUNTA DISCENDENZA, etc. nella prima figura allegata), nel sudest asiatico (Shanti Pappu et al dello Sharma Center for Heritage Education di Tamil Nadu, India). Si tratta di rudimentali arnesi di pietra (in totale 3500, di cui 76 più avanzati) trovati nel sito indiano di Attirampakkam risalenti ad 1,5-1,1 milioni di anni fa. La datazione risulta dall’inversione del campo magnetico riscontrata nel suolo contenente i manufatti e dagli isotopi radioattivi di alcuni arnesi di quarzo. La cultura di questi Homo, che gli archeologi chiamano dei manufatti litici Acheuleani, si era già sviluppata in Africa circa 1,6 milioni di anni fa.
Segnalo a questo punto un’altra sorprendente acquisizione fatta da un team di archeologi americani, australiani, tedeschi e sudafricani: l’Homo erectus di un milione di anni fa conosceva l’uso controllato del fuoco, come risulta da ceneri e frammenti di ossa trovati nei sedimenti della caverna di Wonderwerk in Sudafrica. [BBC News – Evidence of ‘earliest fire use’.htm (03.04.2012)]
Secondo gran parte degli archeologi i fossili risalenti ad 1,8 milioni di anni fa trovati assieme a moltissimi manufatti in Georgia a Dmanisi, una località a sudovest della capitale Tbilisi, da Ferring e colleghi dell’Università del Nord Texas di Denton (Usa) sono di Homo erectus; ma, soprattutto a causa della capacità cranica inferiore (125-300 centimetri cubici in meno dei 900 dell’Erectus) il dibattito è ancora aperto per stabilire se è veritiera la teoria dell’Erectus o se l’uomo di Dmanisi è una specie a sé stante [Proceedings of the National Academy of Sciences USA (PNAS)]. La capacità cranica di questi fossili, risalenti a 1,77 milioni di anni fa, è compresa tra i 600 e i 775 centimetri cubici di volume, mentre Homo erectus, con i suoi 900 cc, ha un maggiore quoziente di encefalizzazione. Sinora la maggior parte degli studiosi era convinta che lo sviluppo di un cervello più grande avesse preceduto la migrazione dall’Africa, rendendo i nostri antenati capaci di adattarsi a nuovi ambienti. Ma le ridotte dimensioni di questi crani suggeriscono che l’aumento delle dimensioni del cervello non fu l’unica causa che rese possibile la tale migrazione, che fu piuttosto dovuta a una combinazione di fattori. “Nell’ambiente scientifico si propende a classificare i fossili di Dmanisi fra i primi Homo erectus ma, alla luce delle nuove scoperte, il dibattito è ancora aperto”, spiega Ferring. I ricercatori georgiani in particolare non sono d’accordo per l’interpretazione di Homo erectus e difatti hanno chiamato l’Homo vissuto nella loro Nazione poco meno di due milioni di anni fa Homo georgicus. In questo essere primordiale vedono infatti caratteristiche non solo dell’Erectus (asiatico), ma anche dello Habilis, dell’Ergaster (Erectus africanus) e (forse) dell’Antecessor (per quest’ultimo vedere oltre), ed addirittura i tratti scimmieschi degli Australopithecus. Osservare lei mmagini de L’UOMO DI DMANISI nella seconda figura qui accanto.
Più su ho accennato a due specie di Homo le cui fattezze sembrano far parte dell’Homo georgicus, cioè l’Homo ergaster e l’Homo abilis. Sembra giunto il momento di dire qualcosa su questi due nostri lontanissimi antenati. L’Homo ergaster è indicato anche come Erectus africanus, difatti secondo alcuni paleoantropologi gli Ergaster (africani) e gli Erectus (asiatici) appartengono alla stessa specie. Ergaster in greco vuol dire “artigiano”: il nome fu dato per il fatto che questo Homo lavorava abbastanza bene la pietra iniziando così la cosiddetta cultura dei manufatti litici Acheuleani (il termine deriva dal villaggio di Saint-Acheul, presso Amiens, Francia, dove furono rinvenute pietre scheggiate a forma di mandorle lavorate su due lati simmetricamente. Tra i più recenti ritrovamenti, ricordo a questo proposito un cranio di Ergaster africano trovato nel 1995 in Dancalia (Africa Orientale), appartenuto ad una femmina battezzata dai paleoantropologi La Signora di Buya ed altri frammenti dello stesso Homo successivamente ritrovati nella stessa zona.
Parliamo ora dell’Homo abilis. Esso aveva le braccia più lunghe dell’Erectus, somigliando in questo di più agli Australopitechi, ma un viso meno sporgente rispetto a questi ultimi e piuttosto simile a quello dell’Erectus, capacità cranica metà dell’uomo attuale, capacità di fare oggetti litici primitivi. Secondo alcuni potrebbe essere stato l’antenato dell’Erectus africano (Ergaster). Ma le due specie convissero, come rivelato da nuovi ritrovamenti, per cui potrebbero aver avuto un comune antenato. Anzi, sul lato est del lago Rudolf (oggi Turkana) convisse nel periodo tra 1,8 e 2 milioni di anni fa ancora una terza specie, l’Homo rudolfensis, che, dopo una nuova scoperta dell’agosto 2012, può essere distinto più sicuramente dall’Habilis (con cui alcuni antropologi avrebbero voluto identificarlo). [New Fossils Put Face on Mysterious Human Ancestor – ScienceNOW.htm di Ann Gibbons, 08.08.2012] .
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