i nostri antenati – seconda parte
2(segue da i nostri antenati –primte)
Per la storia del genere Homo in Europa è necessario considerare un’altra specie che ha lasciato molte tracce soprattutto nel nord della Spagna, e precisamente ad Atapuerca, un bel posto con un fiume accanto dove questi nostri primitivi antenati potevano cacciare. Quest’uomo primitivo (Homo heidelbergensis), il cui nome deriva dai ritrovamenti umani fossili rinvenuti per la prima volta nel 1907 presso Heidelberg, nel Baden-Württemberg (Germania), sulle rive del fiume Neckar, pur essendo vissuto da 600.000 a 100.000 anni fa era già in qualche modo sapiens perché la sua mente aveva già raggiunto un elevato livello di intelligenza.Una tibia di un altro esemplare di questo Homo vissuto 500.000 anni fa fu trovata a Boxgrone in Inghilterra nel West Sussex nel 1993. H. heidelbergensis cacciava anche animali di grossa taglia come i cervi giganti (Megaloceros) con attrezzi litici e di legno avanzati, ad esempio lance, e rappresenta ll più evidente legame dal punto di vista evolutivo tra l’Homo ergaster e l’Homo sapiens. Infatti, oltre ad avere una cultura di tipo acheuliano, questo Homo aveva caratteri morfologici ante-neanderthaliani sia per quanto riguarda la morfologia dello scheletro che la morfologia della testa.
Una sorpresa fu quella del cranio, risalente a circa 400.000 anni fa, di un Heidelbergensis con alcune caratteristiche arcaiche tipiche deli Ergaster africani e degli Erectus asiatici scoperto a Ceprano nel Lazio meridionale [studi di Aurelien Mounier, dell’Université de la Méditerranée, et al., rivista PLoSONE; Manzi et al., Proceedings of National Academy of Sciences del 2001]
– Dobbiamo ora tornare ad Atapuerca perché anche qui si ebbe (nel 1994) un’altra sorpresa: fu rinvenuto in una caverna il cranio parziale di un giovane della presunta età di 10 anni risalente a 780.000 anni fa (quindi antecedente all’H. heidelbergensis) che presentava caratteristiche comuni con l’Homo ergaster, ma anche differenze significative, per cui è stato proposto di dargli il nome di una specie nuova (l’Homo antecessor, dal latino“antecedere” = “andare innanzi”, per cui si potrebbe intendere come “il pioniere”, in inglese “pioneer man”). La nomenclatura (proposta dal professor Luis Arsuaga) non è stata ancora da tutti accettata, perché desta perplessità il fatto che si dà il nome ad una specie basandosi sul teschio di un infante senza tener conto del fatto che certe caratteristiche si sviluppano con l’età adulta. Questi Homo hanno lasciato anche oggetti di pietra scheggiata. Dovevano essere individui più robusti degli Heidelbergensis. Nel 1994 e 1995 nel sito di Atapuerca furono rinvenuti circa 80 frammenti appartenenti a sei individui di questa specie. Dai segni di incisioni riportati sulle ossa è stato ipotizzato che H. antecessor possa aver praticato il cannibalismo. Nel 2007 in un’altra caverna di Atapuerca si trovò un dente, un premolare che si suppone sia appartenuto ad un individuo giovane di 20-25 anni di un genere Homo ancora più antico dell’Antecessor, risalente, per lo strato in cui è stato trovato, ad 1,2 milioni di anni fa. Nel 2008 fu ritrovata una mandibola, con accanto scaglie di pietra ed ossa animali lavorate. Quello del dente sarebbe stato il più antico reperto europeo di una specie di Homo se non fosse stato superato come età dall’uomo del Gargano (Apricena, cava di Pirro nord) che recentemente è stato datato ad 1 milione e 700.000 anni. E’ stato chiamato Homo Garganicus. Stampa la Pagina – Homo Garganicus, Scoperto L’uomo Più Antico D’europa.htm.
– In Asia quello di Dmanisi è ancora più antico, risalendo infatti ad 1,8 milioni di anni fa. La scoperta di questi reperti con datazione più antica dell’Antecessor farebbe quindi cadere l’ipotesi della teoria Out-of-Africa 1 per la quale la prima popolazione africana che giunse in Europa fu quella degli Antecessor ed in Asia quella degli Erectus (mentre in Africa si sviluppavano gli Ergaster).
– Parliamo ora di un altro antico emigrante dall’Africa, anche se nessuno degli attuali europei può averlo avuto come antenato. Secondo alcuni studiosi l’uomo di Flores (Homo floresiensis, Indonesia), risalente a 18.000 anni fa (NOTA 1) , dal cervello piccolo, di soli 410 centimetri cubici, ma intelligente) deriverebbe da un antenato di piccola statura che lasciò l’Africa 2 milioni di anni fa, raggiunse Flores un milione di anni fa e si è estinto solo 17.000 anni fa. Trasmissione di Superquark di Piero Angelo del 22.07.2010. Infatti nell’isola di Flores (precisamente a Mata Menge) sono stati trovati oggetti litici di un milione di anni fa e si presume che chi li ha costruiti doveva essere un antenato dell’uomo di Flores (i cui resti furono trovati a 50 km dal precedente sito, a Liang Bua [Brumm, A. et al., (2010), Hominins on Flores, Indonesia, by one million years ago, Nature, 464 (7289), 748–752].
L’intelligenza di questo minuscolo Homo è dimostrata oltre che dalla presenza di strumenti litici avanzati adatti alla caccia ed alla macellazione anche dalla TAC effettuata su di un cranio che ha dimostrato la presenza di un’estesa area 10 di Brodmann, necessaria per avere attività cognitive complesse. Tuttavia il mistero di questi “hobbit” tuttora permane. A cosa fu dovuta la loro scomparsa? Fu dovuta forse al contatto con l’Homo sapiens? Forse non lo sapremo mai. (Ho accennato all’uomo di Flores nel mio articolo i misteri dell’evoluzione).
– Se ci spingiamo ancora oltre nel tempo fino ad arrivare a 3,3 milioni di anni fa, nessun reperto troviamo in Europa di Homo o di suoi antenati. Dobbiamo spostarci in Etiopia per trovare degli esseri dai tratti ancora scimmieschi, ma anche umani (gli Australopitechi), come ha dimostrato la scoperta dello scheletro quasi completo di un individuo di genere femminile denominato Lucy (Australopithecus afarensis), datato in 3,18 milioni di anni fa, avvenuta ad Hadar in Etiopia più di tre decenni fa per opera del gruppo di antropologi capeggiati da Donald Johanson, che oggi è capo dello Institute of Human Origins nella Università Statale di Arizona. (La storia di Lucy è già abbastanza nota anche al grande pubblico soprattutto per il libro Lucy, the Beginnings of Mankind di Johanson e Maitland).
Secondo la nuova terminologia Lucy è un Ominino (Hominin in inglese), cioè appartiene alla sottofamiglia di nostri antenati che sono più vicini agli scimpanzé ed ai gorilla e più lontani dagli orangutan. Oggi si intendono per Ominidi le grandi scimmie o viventi od estinte, comprendendo in essi gli esseri che vanno dagli umani moderni fino all’urangutan, mentre si intendono per Ominini solo i membri del genere Homo, gli Australopitechi ed alcuni altri generi vicini a quest’ultimi.
– Nel 2011 è stata annunciata la scoperta non lontano da Hadar da parte di ricercatori facenti capo allo studioso etiopico Zeresenay Alemseged dei resti di un individuo immaturo, una femmina di soli 3 anni, indicata col nome di Dikika baby, nell’ambito del progetto Dikika. La sua datazione risale a 3,2 milioni di anni fa. Oltre al cranio ritrovato praticamente completo si sono potuti reperire un femore ed una tibia le cui forme dimostrano che questo essere era in grado di camminare eretto. Certe caratteristiche (ad esempio l’osso curvo della mano) trovate in questo soggetto giovanissimo sono molto importante perché riconfermano che l’A. afarensis era una specie evoluta per il fatto che detta curvatura era geneticamente determinata e non formata nell’individuo adulto a causa dell’esercizio continuativo di un’attività. Sarebbe ancora dello stesso genere di Lucy. Lucy’s Baby — World’s Oldest Child — Found by Fossil Hunters.htm [James Owen for National Geographic News 20.09.2006]
Recentemente (nel 2008) un’altra specie di Australopitechi, denominata Sediba, è stata rinvenuta in Sudafrica nella riserva di Malapa non lontana da Johannesburg. (Lee Berger, Università di Witwatersrand, rivista Science). Si tratta di un giovane di 12-13 anni e di una donna. I reperti risalgono a 1,98 milioni di anni fa. La costituzione della mano farebbe pensare a degli esseri capaci di afferrare strumenti. Non si esclude che questo Australopiteco sia più vicino a noi rispetto all’Australopithecus afarensis. Anzi, per la costituzione dei lobi frontali e del giro frontale inferiore, per i denti piccoli, per la mano abile (anche se le bracce sono ancora lunghe, come nelle scimmie), per l’astragalo avanzato (anche se il calcagno è primitivo), per le gambe lunghe, per il canale del parto (nella donna adulta) grande, c’è il sospetto che possa essere addirittura uno dei primi Homo. In tal caso la culla dell’umanità non sarebbe più l’Africa Orientale, ma il Sudafrica. Ma potrebbe anche essere una specie originatasi nell’A. O. e poi spostatasi. Per Berger è probabile che A.sediba derivi da A. africanus (i cui reperti furono trovati in quattro siti sudafricani tra il 1924 ed il 1992, vissuto tra 3 e 2 milioni di anni fa, con un cranio più umanoide dell’Afarensis e sia l’antenato dell’Erectus, mentre A. afarensis (a cui appartiene Lucy) sarebbe l’antenato di H. abilis, ma questa sarebbe una linea collaterale finita nel nulla, cioè non ancestrale dell’H.sapiens. Tuttavia gli elementi che fanno pensare al Sediba progenitore dell’Homo non devono far dimenticare i prevalenti elementi scimmieschi che lo portavano ad arrampicarsi sugli alberi dove si alimentava di foglie, frutti e cortecce d’alberi, né più né meno come gli scimpanzé dei nostri giorni e paragonabili alle giraffe (in base a studi sugli smalti dentari che si sviluppano durante l’infanzia, da parte di paleoantrapologi dell’Università dell’Arkansas, Fayetteville e dell’Università del Colorado, sfruttando il principio che le piante vissute all’ombra, quali le palme ed i fichi, posseggono un rapporto C13/C12 inferiore a quello dei vegetali vissuti al sole, come le graminacee). Questa alimentazione sarebbe stata vicina a quella dell’Ardipithecus ramidus, un ominino più primitivo vissuto in Etiopia 4,4 milioni di anni fa pure esaminato con il metodo C13/C12. Early Human Ate Like a Giraffe – ScienceNOW (Ann Gibbons 27.06.2012).
Di Australopitechi ne è stato trovato anche un altro, nel 1998, in Sudafrica. È lo scheletro completo di 3 milioni di anni fa, rinvenuto dal professore Phillip Tobias (dell’Università di Witwatersrand) a Sterkfontein a nord di Johannesburg. Èra un essere scimmiesco alto 1,22 metri, era bipede, ma anche abile ad arrampicarsi sugli alberi come dimostra l’alluce divergente. Cadde in un pozzo naturale entro una roccia calcarea e fu poi seppellito dai detriti della stessa roccia ammucchiatisi nei successivi millenni.
Da quale Australopiteco derivò l’H. sapiens? Forse non lo sapremo mai. Ma perché dagli esseri scimmieschi come gli australopitechi si evolse l’uomo? Tra le tante cause possibili ce ne è una messa in evidenza da ricercatori dell’Università di California, San Diego School of Medicine [pubblicazione online (2011) su The Proceedings of the National Academy of Sciences]: la perdita della capacità di produrre una molecola, un particolare acido sialico, l’acido N-glicolilneuraminico o Neu5Gc (vedere formula nella figura allegata ANTENATI VICINI E LONTANI), che le cellule degli organismi antecedenti all’Homo usavano per l’individuazione di agenti patogeni. È tuttora presente nelle scimmie. Sarebbe stata una mutazione del corrispondente gene a provocare la scomparsa di Neu5Gc. Un’altra molecola fu prodotta in sostituzione, e precisamente il suo precursore Neu5Ac. Tutto ciò avvenne 2-3 milioni di anni fa proprio quando comparvero l’Homo erectus e l’Homo ergaster. La perdita di Neu5Gc, che il sistema immunitario cominciò a considerare estranea, potrebbe, assieme a tante altre cause, aver contribuito a dirigere l’evoluzione verso l’emergenza del genere Homo. Sexual Selection by Sugar Molecule Helped Determine Human Origins.htm.
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– Oltre alle date suaccennate non abbiamo reperti tali da stabilire quando è avvenuta la divergenza tra antenato di Homo ed antenato scimpanzé, ma, secondo le più recenti vedute in base all’orologio molecolare fondato sulle mutazioni tra una generazione è l’altra successiva sia nell’uomo che nello scimpanzé, tale divergenza si è verificata da 7 ad 8 fino a 13 milioni di anni fa. Il lasso di tempo così ampio è dovuto al fatto che non siamo certi della costanza delle mutazioni per generazione nelle due linee uomo/scimpanzé . Generation Gaps Suggest Ancient Human-Ape Split – ScienceNOW.htm (agosto 2012).
– Dopo aver fatto una scorsa molto lontano nel tempo veniamo ora agli antenati più vicini a noi. Le conchiglie dipinte dovevano essere un simbolo di grande importanza per le popolazioni umane primitive se una di esse colorata con pigmento arancione è stata trovata dall’archeologo João Zilhão dell’Università di Bristol (Gran Bretagna) in una caverna abitata da uomini Neanderthal di 50.000 anni fa ad una sessantina di chilometri da Aviones, Cueva Anton, in Spagna. La conchiglia era coloratissima ed il pigmento all’analisi chimica è risultato costituito da una miscela dei minerali ematite e goethite. Altri reperti similari colorati con pigmenti minerali di varia natura ed usati come pendagli ornamentali erano stati trovati in un’altra caverna della zona, unitamente ad un osso di cavallo appuntito con del pigmento sulla punta, insieme ad ammassi di pigmenti gialli e rossi. Secondo l’archeologo, la scoperta di questi reperti risalenti a circa 10.000 anni prima dell’arrivo in Europa dell’uomo sapiens moderno induce a pensare che i Neanderthal fossero tutt’altro che arretrati, anzi si affaccia l’ipotesi che siano stati i moderni a copiare dai Neanderthal e non viceversa. La pubblicazione di Zilhão ed altri è su Proceedings of the National Academy of Sciences. Altre attribuzioni di graffiti fatti con il carbone nelle caverne preistoriche hanno dato luogo a retrodatazioni per cui molti paleontologi pensano che i disegni siano dei Neanderthal e non degli uomini moderni. Questo è stato possibile utilizzando un altro metodo di analisi (diverso dal C14) chiamato della serie dell’uranio (uranium-series, U-series) che analizza la calcite ricoprente i manufatti e che contiene piccole quantità di uranio 238. Quest’ultimo nel tempo degrada allo ancora radioattivo Torio 230. Dal rapporto tra I due si deduce l’età minima (la calcite è successiva al dipinto perché lo ricopre
Secondo Mellars e French [SCIENCE, Volume 333, Issue 6042, 29.07.2011, 623] la scomparsa dei Neanderthal fu principalmente provocata dal numero esiguo della loro popolazione essendo essi stati valutati (in base al numero dei siti ed ad altri parametri) approssimativamente 10 volte inferiori di numero rispetto ai nuovi venuti.
– Da tutto quello che abbiamo detto sopra sembrerebbe fuori discussione che le due specie Homo Neanderthal ed Homo sapiens fossero le uniche coesistenti in Eurasia intorno a 40.000 anni fa. Invece così non è. La smentita arriva dalla scoperta di un molare e di una falange di un dito entrambi umani nella caverna Denisova sui monti Altai nella Siberia meridionale. Dal DNA mitocondriale (due studi del Max-Planck-Institute für evolutionåre Anthropologie di Lipsia diretto dallo scienziato Svante Pääbo) pubblicati nel marzo e nel dicembre 2010 sulla rivista Nature) risulta trattarsi di una specie nuova, che provvisoriamente è stata chiamata col nome di uomo di Denisova. Questa tecnica che analizza il DNA mitocondriale si era già prestata bene nella differenziazione tra H. sapiens ed H. Neanderthal su due reperti provenienti da Vindija e Feldhofer tramite confronto con l’uomo moderno di 400 coppie di basi dell’ansa D mitocondriale (Krings ed al., anno 2000). Si potette allora concludere in modo inequivocabile che il mtDNA dei Neanderthal cadeva con le sue sequenze nucleotidiche al di fuori delle variazioni esistenti nell’uomo attuale e che la divergenza tra le due specie dovette verificarsi molto addietro nel tempo, all’incirca tra 800.000 e 500.000 anni fa.
Tornando all’uomo di Denisova, lo studio del DNA nucleare della falange ha fornito un’altra sorpresa: c’è un pezzo di DNA in comune con noialtri, inesistente nelle popolazioni attuali africane, segno che gli antenati dei Denisova si incrociarono in un lontano passato con i nostri diretti antenati in qualche remoto angolo toccato dalle loro peregrinazioni, forse nel Medio Oriente. La datazione dei Denisova è tra 48.000 e 30.000 anni fa. Il problema dell’incrocio tra le razze si è presentato anche per le due specie più importanti che convissero in Europa tra 40.000 e 30.000 anni fa: i Neanderthal, provenienti dall’Africa, vissero infatti per 200.000 anni in Europa raccogliendo cibo dalle piante e cacciando animali fin quando vi fu l’arrivo in Europa, pure dall’Africa, dei sapiens sapiens circa 40.000 anni fa. Ciò portò alla scomparsa dei Neanderthal in soli 10.000 anni. Molti studi avevano dimostrato in base al DNA mitocondriale che non vi erano pezzi di DNA del Neanderthal nell’uomo attuale. Ma l’esame del DNA nucleare (caposcuola Svante Pääbo di Lipsia e pubblicazione di Green et al. 2010) ha dato un altro responso: nel DNA dei popoli attuali non africani, tra cui anche noi Europei attuali, vi è l’1-4% del DNA dei Neanderthal. Siccome però esistono le stesse correlazioni (cioè sequenze comuni) tra i Neanderthal e gli attuali sapiens sapiens abitanti in Francia, in Cina od in Papuasia/Nuova Guinea, l’incrocio sarebbe avvenuto molto prima, cioè prima che la popolazione euroasiatica si suddividesse tra Europa, Asia ed Indonesia, cosa che avvenne approssimativamente 100.000 anni fa (resti di Neanderthal ed uomo moderno risalenti a questa epoca sono stati rinvenuti in Medio Oriente). La sorpresa che il DNA dell’uomo di Neanderthal conteneva delle sequenze presenti nelle popolazioni europee ed asiatiche di oggi è descritta nel lavoro pubblicato il 7 maggio 2010 sulla rivista Science da un folto gruppo internazionale di ricercatori coordinati da Svante Pääbo (Lipsia,Germania) Signs of Neanderthals Mating With Humans – NYTimes_com.htm. Il dubbio sull’incrocio (Neanderthal hybridisation nei testi inglesi) continua però a sussistere, perché esiste anche un’altra interpretazione della comunanza genetica (che sarebbe però tutta da dimostrare): dall’Africa partirono in tempi diversi due gruppi migratori geograficamente separati e dal punto di vista genetico molto diversi tra di loro, ma che tuttavia avevano in comune dei piccoli tratti di DNA che avevano ereditato da un comune antenato. I due gruppi migranti erano i Neanderthal e gli antenati dell’uomo europeo-asiatico-paupasico/nuovaguineano moderno.
Oltre a Svante Pääbo, sull’argomento incrocio Neanderthal/Homo sapiens sapiens ha lavorato e sta lavorando il genetista italiano Guido Barbujani dell’Università di Ferrara,. che nella trasmissione di Radio 3 Scienze dello 08.09.2011 ha dichiarato di avere in progetto l’esame del DNA nucleare di un neanderthaliano pugliese (quello di Grotta Paglicci di Rignano Garganico) assieme al DNA nucleare di altri abitanti della caverna, morfologicamente uguali a noialtri (vi sono stati rinvenuti gli scheletri di uomini sapiens moderni, apparentemente dei Cro-magnon, un ragazzo di 11-12 annai, ed una donna di 18-21 anni risalenti a 23.000-25.000 anni fa). Dall’uomo di Cro-magnon noi Sapiens sapiens moderni sostanzialmente non differiamo granché. (Vedere immagine di un cranio di Cro-magnon in figura). Riuscirà Barbujani a stabilire anche, dall’esame dei geni deputati al colore della pelle, a stabilire se il Sapiens garganico di lontana origine africana dalla fronte alta e dal mento pronunciato, era nero o bianco? Altro giornale nel dna di noi europei c’e’ l’uomo di cromagnon.htm. È tuttavia per i ricercatori una vera sfida quella di estrarre ed analizzare un DNA così antico in parte decomposto e frammentato e di non contaminarlo. E se fosse stato già contaminato dai ricercatori attraverso le cui mani i reperti sono passati tante volte? Ma le tecniche ora esistono per sapere almeno se il campione è contaminato o non lo è, essendo state sviluppate da Svante Pääbo. Più recentemente una conferma della relazione tra Neanderthal e Sapiens sapiens è venuta fuori dall’esistenza di un certo aplotipo comune (la combinazione di basi B006 AATGAATTT nel cromosoma X del DNA delle due specie) in uno studio pubblicato nel luglio 2011 da Damian Labuda dell’Università di Montréal in Canada e pubblicato su Molecular Biology and Evolution. L’aplotipo è rigorosamente assente negli africani di oggi.
–Delle civiltà europeo-mediorentali succedutesi da 12.000 anni a questa parte conosciamo molto, ma non tutto. Qual’era il popolo misterioso di 4.500-5.000 anni fa che ha eretto Stonehenge in Inghilterra? Chi ha costruito nell’attuale Turchia la città di Göbelki Tepe portata alla luce piuttosto recentemente dall’archeologo tedesco Klaus Schmidt, risalente ad 11.000 anni fa quando, secondo le nostre conoscenze, non erano stati ancora inventati né la ruota, né i metalli e nemmeno l’agricoltura? (Vedere un particolare in figura). In Germania, nella Sassonia-Anhalt, a Derenburg, è stato trovato un intero cimitero di una popolazione risalente al primo Neolitico (circa 8.000 anni fa), quando l’agricoltura cominciò ad essere praticata in Europa. Dagli esami effettuati sia sul DNA mitocondriale che su quello del cromosoma Y risulta che questa popolazione aveva più marcate somiglianze con popolazioni attuali turche ed irachene che con popolazioni europee, rafforzando l’ipotesi già avanzata in precedenza sull’origine mediorientale dei primi agricoltori. Lo studio è stato pubblicato su Plos Biology nel novembre 2010 dall’Università di Adelaide (Australia) dal gruppo di ricerca diretto da Alan Cooper, in collaborazione con altri enti di ricerca tedeschi, russi ed inglesi. Rammento che l’agricoltura fu praticata per la prima volta nel vicino Oriente, come dimostrano i reperti rinvenuti in Galilea dove abitavano i Natufiani (dal nome della località Uadi-en-Natuf), una popolazione che praticava la caccia, ma aveva cominciato, tra 12000 e 10.000 anni fa, col raccogliere cereali selvatici e poi praticò la semina delle granaglie vivendo in piccolissimi villaggi. Sono sorprendenti le lame di falce fatte di materiale litico ritrovate nei siti da loro abitati e la presenza dello scheletro di un cane domestico accarezzato da quello del suo padrone. L’invenzione dell’agricoltura portò ad un radicale cambiamento delle abitudini alimentari dell’Homo sapiens moderno: mentre prima era cacciatore-raccoglitore e consumava soprattutto selvaggina, piante selvatiche ricche di fibre e frutta, ora, essendo diventato contadino-pastore, si alimentava essenzialmente di cereali, latticini, formaggi e carni grasse di allevamento. Secondo Michael P. Richards, ricercatore dell’Università di Bradford (Gran Bretagna), questo cambiamento comportò la comparsa di malattie come le carie e l’osteoporosi ed una diminuzione della statura media di almeno 10 cm. La moderna medicina ha d’altronde dimostrato che una tale dieta è anche fonte di malattie cardiache.
– Secondo Bouckaert et al [Science, Volume 337, Issue 6097 (24.08.2012)] i linguaggi indoeuropei si formarono in Anatolia (attuale Turchia) e furono diffusi in Europa, nell’Iran e nell’India da popolazioni di agricoltori 7-10mila anni fa quando appunto fu inventata l’agricoltura. In Inghilterra l’agricoltura arrivò verso il 4050 avanti Cristo in quello che adesso è il Kent. Si estese poi in 200 anni ad occidente fino alla Cheltenham dei nostri giorni, ma poi in 50 anni giunse molto a nord fino all’attuale Aberdeen. Ne risulta che in Inghilterra l’esplosione del boom dell’agricoltura accompagnato da costruzioni rassomiglia alla rivoluzione industriale del secolo XIX. Tutte le datazioni così accurate sopra indicate sono il frutto degli studi sui reperti archeologici fatti da Alex Bayliss dell’English Heritage, un ente governativo britannico, e si basano su di una tecnica statistica detta analisi bayesiana. Questa analisi combina assieme le informazioni provenienti dalla stratigrafia (che mostra se un manufatto di uno strato è più vecchio o più giovane di un altro) e dal carbonio 14, l’isotopo che, dopo la morte della pianta e la cessazione dello scambio di CO2 con l’atmosfera, si degrada progressivamente con un tempo di dimezzamento di 5570 anni. Tuttavia, secondo studi condotti dalle due ricercatrici Anna Revedin e Biancamaria Aranguren dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria (IPP), le farine per l’alimentazione dell’H. sapiens sapiens sono comparse molti millenni prima del Neolitico. Lo attestano delle macine rudimentali di 30.000 anni fa (Paleolitico superiore) con resti di materiali amidacei, la cui analisi ha fatto pensare provenissero da una pianta che cresce rigogliosa nel Mugello, la Tifa palustre. Con tale farina forse questi nostri antenati si preparavano delle gallette (l’uso del fuoco è ben più antico e risale a specie umane antecedenti).
Antenati molto più vicini a noi Europei si celano nelle mummie del Nordeuropa. Questo è un capitolo di archeologia sorprendente. Possono di un corpo essersi conservati di più la pelle e gli organi interni che lo scheletro? Sì, è possibile ed è quanto si è verificato per le mummie danesi rimaste sommerse in particolari paludi torbose per quasi 2500 anni in carenza di ossigeno ed in ambiente acido (quest’ultimo attaccò il carbonato di calcio dello scheletro). Una di queste mummie si può vedere nel museo di Silkeborg in Danimarca (mummia di Tollund, vedere in figura “Tollund man”). Purtroppo in passato molte di queste mummie sono andate perdute ed altre si sono deteriorate perché non si è intervenuti immediatamente con metodi chimici di conservazione, per cui il materiale organico in contatto con l’ossigeno ha subito distruzione. La mummia di Tollund è particolarmente ben conservata ed apparteneva ad un uomo vissuto all’incirca nel IV secolo a.C. (analisi con il C14), durante l’età del ferro in Scandinavia. Fu sepolto in una palude di torba nello Jutland in Danimarca. La Mummia è notevole per il fatto che il suo corpo, e in particolare il volto, si è così ben conservato che sembra morto solo di recente. L’acido presente nella torba, insieme alla mancanza di ossigeno sotto la superficie, hanno conservato i tessuti molli del corpo. Esami ai raggi X hanno mostrato che la testa dell’uomo è integra ed il cuore, i polmoni ed il fegato sono ben conservati. L’individuo doveva avere 40 anni ed essere alto 161 centimetri.
– Un’altra storia di peregrinazioni di popoli antichi è quella degli Etruschi e fa capo addirittura ad Erodoto, secondo il quale questo popolo si mosse dall’Asia Minore, e precisamente dalla Lidia, dopo la guerra di Troia e cioè verso il 1200 avanti Cristo. Oggi sappiamo qualcosa di più di loro. Secondo i professori Alberto Piazza dell’Università di Torino e Guido Barbujani genetista dell’Università di Ferrara, i primi studi sul DNA mitocondriale hanno confermato il racconto di Erodoto. Sono stati esaminati a tale scopo individui appartenenti a popolazioni abitanti in Turchia nella zona una volta indicata come Lidia e confrontati con altri individui delle località italiane di Casentino, Murlo e Volterra (dove la cultura etrusca è stata ben conservata) e sono state trovate similarità non riscontrabili in altre popolazioni italiane. Sono in corso studi sul cromosoma Y. I Tirreni (questo era il nome originario degli Etruschi) si sarebbero stabiliti inizialmente nella zona dell’isola d’Elba, dove trovarono il ferro, e di Pisa, per poi espandersi fino a Spina (odierna Comacchio). Si sarebbero anche incrociati con i Villanoviani che già abitavano quelle zone. Gianfranco Bracci ha anche organizzato un percorso turistico-culturale sulla “via del ferro” ribattezzando così la più antica via selciata d’Europa, risalente al VI-V secolo avanti Cristo.
– I Vichinghi erano grandi navigatori e commercianti scandinavi che arrivarono perfino in Italia col nome di Normanni, per cui un meridionale biondo potrebbe benissimo essere un erede diretto di questo popolo. Essi, tra le tante imprese che compirono, colonizzarono le coste della Groenlandia occidentale intorno al 900 d. C., ma poi scomparvero totalmente dalla zona tra la metà del 1300 e l’inizio del 1400, lasciando molti reperti archeologici. Secondo Yongsong Huang della Brown University e John Anderson della Loughborough University, che hanno pubblicato uno studio sulla rivista PNAS nel maggio 2011, il motivo della loro sparizione fu un abbassamento della temperatura. A questa conclusione son giunti gli Autori tramite l’esame dei sedimenti di due laghi salati groenlandesi in una zona dove vi era stato un insediamento di Vichinghi. Trattasi di uno studio che attraverso l’esame sistematico dei sedimenti depositatisi negli ultimi 5600 anni ha permesso di stabilire la temperatura di formazione dei vari strati. Questo studio ha usato il metodo degli aptofiti (haptophytes) per stabilire le temperature dei vari strati depositatisi nel tempo ed estratti con le carote ottenute a seguito della perforazione dei sedimenti lacustri. Gli aptofiti sono delle alghe che prosperano nelle acque salate e che producono dei lipidi più o meno insaturi. Il grado di insaturazione è dipendente dalla temperatura. Il picco verso il basso trovato (peraltro di soli 4 gradi centigradi) corrispondeva ad un periodo di soli 80 anni situato intorno all’anno 1100 d. C., sufficiente a creare condizioni ambientali proibitive per la popolazione che probabilmente non poteva più allevare il bestiame per deficienza di foraggio o fare commercio con altri popoli dell’emisfero Nord perché le acque erano ghiacciate per periodi molto lunghi. La popolazione via via si assottigliò ed alla fine si estinse, ma si tratta solo di supposizioni.
– Nulla sappiamo del popolo a cui apparteneva Oetzi, la mummia di Similaun trovata in un ghiacciaio delle Alpi Venosta ed ora nel Museo Archeologico di Bolzano (vedere una ricostruzione dell’individuo nella figura 3 del mio articolo il DNA del 2011). Essa è stata sottoposta ad analisi del DNA con la collaborazione di vari Istituti, tra cui quello di Genetica umana dell’Università di Tubinga. Lo scopo principale di questo studio è quello di vedere se esiste nella popolazione attuale qualche discendente di Oetzi (che visse intorno a 5300 anni fa nell’età del rame). In Italia lavora per il progetto la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste (S.I.S.S.A.). Dalle ultime informazioni (marzo 2012) risulta che Oetzi apparterrebbe ad un aplogruppo del Medio Oriente ormai estinto in Europa, anche se non si esclude di poterlo ancora trovare in Sardegna od in Corsica.
– Talvolta le nuove scoperte rivoluzionano completamente le nostre precedenti acquisizioni: i flauti scoperti in Germania nella caverna di Geißenklösterle fatti con ossa di uccelli e zanne di mammut hanno 42.000-43.000 anni (analisi col carbonio 14).
SEGNALA IN ERRORE OD UN’INESATTEZZA
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(NOTA 1 –aprile 2016 – Un nuovo studio pubblicato il 30 marzo 2016 sulla rivista Nature ha retrodatato l’età dell’Homo floresiensis trovato in Indonesia a 66.000 -87.000 anni fa. La precedente attribuzione (circa 18.000 anni fa) ricavata dallo strato in cui era immerso iuno dei fossili era inesatta a causa della stratificazione complessa del terreno di deposito. Questa volta l’analisi è stata compiuta direttamente sulle ossa di braccia trovate in differenti collocazioni. Si è usato il metodo dell’uranio e del torio radioattivi presenti nel materiale. Quanto sopra rafforza sempre più la teoria che l’Homo floresiensis è una specie a se stante di corta statura, separata dal sapiens. Quest’ultimo pervenne infatti molto più tardi nel sudest asiatico (circa 50.000 anni fa).
(vedere seguito in i primordi della vita sulla Terra)
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15 Dicembre 2015 a 12:27 |
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